Una delle squadre piĆ¹ forti di sempre in Serie A, La Grande Inter
Erano i giorni della Tv in bianconero, dei bar affollati dove ci si riuniva per assistere e tifare tutti assieme. Era lāepoca del catenaccio, del contropiede, del libero “allāitaliana”, dell’Inter del mago Herrera Ā venuto da lontano che aveva imposto il “taca la bala”, lā”interval training”, le frasi scritte sulla lavagna negli spogliatoi.
Era il tempo dei ritiri estivi a San Pellegrino Terme, del mitico Dottor Quarenghi, dei campi di gioco cosparsi di segatura per assorbire le pozze di bagnato, delle montagne di neve spalate ai bordi del campo per via delle grandi nevicate. Erano i tempi del boom economico, del primo Subbuteo, della voce calda e lontana di NiccolĆ² Carosio e della sua incredibile e indimenticabile telecronaca da Liverpool, conclusa con una esortazione “a prendersi un wiskaccio” per difendersi dal freddo pungente.
Era lo stesso Carosio che poco prima aveva annunciato una formazione destinata a restare nella memoria calcistica collettiva, uno dei tormentoni piĆ¹ insistiti e amati di ogni epoca: “Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi…”.
DIFESA E CONTROPIEDE
La Grande Inter aveva una difesa tecnica, solida e rocciosa che praticava rigide ed eroiche marcature “a uomo” (quando lāEuropa che contava giocava a zona), coperta perfettamente da un mediano (prima Zaglio, poi Tagnin, infine Bedin) con prevalenti compiti difensivi (sul “10” avversario) e da una mezzala di regia (il sapiente Luisito Suarez) in costante ruolo di raccordo e di rilancio per punte velocissime e tecniche (Jair, Mazzola, PeirĆ², Domenghini) che facevano impazzire i pesanti e lenti difensoriĀ avversari, poco abituati alla rapiditĆ e profonditĆ degli attacchi nerazzurri.
Il tocco dāartista era affidato a Mariolino Corso, libero di agire secondo ispirazione ed estro, inventore della punizione “a foglia morta”, di magiche pennellate smarcanti il compagno in area, come di placide trotterellate allāombra delle tribune nelle calde giornate estive. Insomma un misto di breriano āabatinoā e di astuto genio del calcio. Sulla fascia sinistra “fluidificava” il gigantesco Giacinto Facchetti, leggenda dell’Inter, forte, acrobatico, moderno capostipite del difensore capace di “sganciarsi” dalla difesa e offendere in area avversaria (62 gol in carriera).
QUATTRO ANNI DI SUCCESSI
Dal 1962 al 1966 l’Inter ottenne 3 scudetti, 2 Coppe dei campioni, 2 Coppe intercontinentali. Una squadra che non segnava molto (1,8 gol/partita in campionato) ma che subiva pochissimo (0,7 gol/partita). Era solita mordere a inizio partita per poi ritrarsi nella propria metacampo e raddoppiare in contropiede: opportunismo, si diceva. Come al Prater di Vienna, 1964: di fronte il piĆ¹ grande Real Madrid di tutti i tempi, con 5 Coppe dei Campioni giĆ in bacheca. Il Mago dispone l’Inter con marcature ferree a specchio sulle ali e sul finto “10” (Puskas). Poi ordina al mastino Tagnin (prototipo del mediano difensivo) di “francobollare” il grande Alfredo Di Stefano, giocatore a tutto campo, anima e mente delle merengues. LāInter punge e si ritrae, il Real attacca furiosamente scornandosi contro un muro difensivo invalicabile. I nerazzurri ne fanno 3 di rimessa, profittando della boria e della sbadataggine difensiva avversaria. Ma al capolavoro del cinismo si assiste lāanno seguente, a San Siro, sotto una pioggia torrenziale. In campo Inter e Benfica (Eusebio, Torres, Coluna, Simoesā¦): gol di Jair dopo pochi minuti, un tiro senza pretese che si infila, schizzando sul fango, tra le mani e le gambe di Costa Pereira. Seguono ottanta minuti di insuperabile catenaccio, al termine dei quali ĆØ Armando Picchi, indimenticato capitano, ad alzare al cielo la seconda Coppa con le orecchie.
di Daniele FANTINI, 19 novembre 2014 20:22, Eurosport.it
antonio pugliara
La piĆ¹ grande squadra che sia mai esistita .-